La sticomitìa berlusconiana

Sticomitia [sti-co-mi-tì-a]
s.f. (pl. -tìe)

Nella tragedia greca e latina, dialogo dal tono drammatico in cui ciascun attore recita una battuta di un solo verso

Responsabilità, coesione, larghe intese. Che daranno opportunità, maturità e un’«occasione riformatrice irripetibile», come scrive Stefano Folli dalle colonne del Sole 24ore.  Il governo di Mario Monti viene battezzato col favore di quasi tutte le forze politche e la lode sperticata dei mezzi di comunicazione. I quali, come un mantra, ripetono le parole chiave del nuovo governo: un po’ per faciloneria, un po’ perché assomigliano a quella retorica populista da campagna elettorale che fa vendere qualche copia in più. Un po’ perché ripetere all’infinito lo stesso pronostico, in politica, aumenta le possibilità di avveramento. C’è un tentativo di autoconvincimento imbarazzante nelle parole d’ordine del post-Berlusconi, che sono poi le parole al cui immaginario abbiamo consegnato la gloriosa (ma davvvero?) nascita della nostra democrazia: serietà, rigore, solidarietà nazionale.

Ma non illudiamoci. Sebbene segnati nel profondo dal linguaggio-mondo creato prima dalle tv di Berlusconi e poi da Berlusconi stesso, oggi non usciamo da una guerra fratricida, neppure dall’incubo totalitario del fascismo. Il Cavaliere ha costruito un racconto sconcio, frivolo e corrotto negli ultimi 20 anni. Ma è riuscito a segnare indelebilmente anche il contro-racconto. Ha modificato il linguaggio delle opposizioni schiacciandole a fatwa personale, a vera e propria jihad contro tutto ciò che rappresentava e rappresenta. Oppure ha inebetito anche gli “scrittori ribelli”, i quali hanno preso atto del baratro in cui il nostro Paese era costretto. O al contrario, ipotizzando un “oltre la caduta”, si sono limitati ad incerare ali di Icaro.

La costruzione narrativa del nuovo governo Monti, ricade in questo gigantesco limite. Nessuno riesce ad uscire dalla sticomitìa della parte, lo stringente dialogo a due delle tragedie greche: o si è ancora con Lui, o si è contro di Lui. E quando si è contro, si è favorevoli alle soluzioni più accomodanti, quelle cioè che delegano la vera responsabilità democratica a quella posticcia dei governi di reaponsabilità nazionale. Il trionfo di Monti e la sua apoteosi sancita dal Pd (e vista senza dispiacere alcuno da gran parte della sinistra) è la sconfitta della politica. Specie della politica antiberlusconiana. Che ancora una volta, e ormai sembra per sempre, non riesce a fare di meglio che un’opposizione irresponsabile, cioè un’opposizione che non salendo al governo può spararla sempre più grossa della maggioranza.

Ma l’ascesa di Monti è una  sconfitta per tutti noi, per quella sovranità popolare sancita dal primo articolo della Cotituzione. Per carità, arrendiamoci pure al fatto che questa sovranità sia più retorica che altro, sia più intenzionale che effettiva. Come diceva quella volpe matematica di Gottlob Frege, «diffidate di chi parla der Wille der Volkes», della volontà popolare. Ma pure se rappresentata in Parlamento, questa volontà deve avere governi di parte (di partiti) che prendono decisioni, che si confrontano e si scontrano sulla volontà che gli elettori hanno rimesso nelle mani dei propri reggenti. Il fatto che in Italia tutte le grandi riforme siano state fatte solo ed esclusivamente tramite governi di larghe intese, convergenze parallele, governi della non sfiducia, governi tecnici e di salvezza nazionale, non significa altro che una gara linguistica alla sostituzione di un termine ben più drammatico: fallimento della democrazia.

Già. Perché se un elettore vede le riforme, non quelle per cui ha per cui ha votato, fatte da un tecnocrate o un esecutico appoggiato da tutte le forze politiche, in cui tutti paiono governare ma nessuno si assume le responsabilità per quanto verrà deciso, allora la vittoria non è del popolo, ma solo del partito. Che lascia praticamente tutto inalterato: non ha deciso, non decide. Dunque non era responsabile di quanto è avvenuto e non sarà responsabile di quanto avverrà.

E così che in Italia ricomincia il carosello del già visto: il PdL avrà tempo a sufficienza per ristabilirsi e ricompattarsi dando la colpa al Pd di aver imposto un governo lacrime e sangue (in realtà riformatore, ma chissenefrega). Il Pd giocherà la carta della responsabilità adducendo alla destra il fallimento dell’Italia e la conseguneze necessità di un intervento urgente e purificatore. La Lega ritroverà la sua scandalosa «verginità» lottando contro tutto e tutti, riconquistando la base da cui si era allontanata. E il Terzo Polo, denuncerà tutte queste manovre elettorali così confezionando un’altra manovra elettorale.

Ecco il dialogo a due a cui ci ha nuovamente costretto Berlusconi. Ad elogiare il meglio del peggio. Ecco il dialogo a due a cui tutti si sono costretti, fermi ad osservare nella caduta del sultano la nascita di un governo che non è un governo, per spingerci dentro tutto il male. Per sfogare sui tecnici incaricati di salvarci ogni frustrazione di inerzia con cui i partiti perpetrano il loro cinquantennale potere sull’Italia. Berlusconi ha fagocitato il discorso tutto dell’Italia, pro o contro di lui. Lasciando le macerie persino tra i baluardi degli oppositori. Che hanno perso la loro capacità di creare il proprio racconto personale, di pensare una storia diversa e, finalmente, di realizzarla.

Prepariamoci al meglio, al peggio.

Comments
One Response to “La sticomitìa berlusconiana”
  1. Filippo Santelli ha detto:

    Mah, secondo me è più come se il coro avesse preso possesso della scena. E vi recitasse il suo discorso di verità. Gli attori sono stati spinti giù, spettatori come gli altri.

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