Oggi abbiamo vissuto?

Perda l’uomo la sua facoltà di indifferenza, diverrà virtualmente assassino

Emil Cioran, Sommario di decomposizione

Non mi capacito della scritta che qualche ragazzo ha lasciato sui muri di Roma a commento della giornata di guerra del 15 ottobre. Con una bomboletta di spray nero, nero come le giacche e passamontagna di molti di quegli incappucciati che hanno dato il filo da torcere alle forze dell’odrine, qualcuno di loro ha scritto: «Oggi abbiamo vissuto!». Scusate, in che senso?

Quasi a sottolineare una distanza incolmabile tra la vita di tutti i giorni e quella porzione di esistenza passata a combattere, l’anonimo scrittore, a quanto pare, ha voluto sottolineare il tedio della sua vita. Esclamando a caratteri cubitali la sua irruenza vitale svegliata dalla rivolta, ha schiantato il resto del suo tempo sotto lo spietato giudizio della non-vita, dell’inutilità dell’essere al mondo. Come interpretare altrimenti tanta euforia?

Per carità, da che mondo è mondo le battaglie hanno sempre accompagnato al terrore della morte l’iniezione adrenalinica della paura, la fibrillazione quasi erotica del trovarsi a fronteggiare il proprio destino sul campo di battaglia. Ma oggi, epoca degli eserciti professionisti, dei droni che portano la guerra virtuale e reale al posto nostro, questa frase assume i caratteri di una sconfitta.

È qui infatti racchiusa l’impotenza di una generazione che non è più in grado di vivere la sua vita nelle sue inevitabili alternanze di momenti esaltanti, ed altri un po’ meno. È il manifesto più schietto ed osceno della reclusione dei giovani alla prigione del virtuale, dove un’improvviso scatto di vita, come può essere quello della ribellione, distrugge e divora ogni altro momento psichico precedente.

Ma si sta parlando di ribellione? Fabrizio Filippi, er Pelliccia, è forse il carbonaro che, assieme ai suoi amici ribelli, trama l’insurrezione contro il potere asburgico? È davvero il partigiano che si fa strappare le unghie dalle cesoie tedesche pur di non rivelare l’ubicazione dei compagni, oppressi «dal piede straniero sul cuore»?

Io, per me, vedo un solo piede che oggi opprime le nostre coscienze. Ed è quello della vittoria del virtuale sul reale, che ci tiene in un perenne stato di apatia. Così che la pornografia della realtà – cioè quel momento in cui la realtà irrompe dentro di noi nuda e cruda – non trova più alcun amore e passione a fermala. Non siamo più innamorati di noi, di quello che possiamo fare tutti i giorni nel nostro piccolo in nome del cambiamento. E siamo in balia di quello che Schopenauer chiamava “conatus vitale”. La scarica ormonale in grado di tenerci vivi nel dubbio delle nostre esistenze. Se non fosse così, scriveremmo la nostra vita nella Storia, non certo sui muri.

Prepariamoci al meglio, al peggio.

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