Le lacrime del dopo-Caimano

 

E chi l’avrebbe mai detto? Che un ministro del nuovo Governo Monti, un tecnico preparatissimo di una squadra preparatissima, «snella e forte» come l’aveva definita qualche giorno fa il premier, si sarebbe emozionato nel pronunciare la parola SACRIFICI?

Eppure è accaduto davvero. Elsa Fornero, neo-ministra al Welfare, presentando domenica sera, 4 dicembre, gli aspetti della manovra che competono al suo dicastero, non è riuscita a completare il suo discorso di fronte ai giornalisti e a tutta l’Italia. Mentre cercava di spiegare gli aspetti della manovra che porteranno  il Paese alla deindicizzazione delle pensioni (ovvero lo stop all’adeguamento annuale in base all’inflazione), la Fornero ha offerto uno spaccato del suo lavoro dicendo: «Nessuna riforma dà risparmi nell’anno successivo. E abbiamo dovuto  – e ci è costato – chiedere sacrif…».

A questo punto, sulla parola più abusata e inflazionata, usurpata e stuprata delle ultime settimane, sulla parola che la ministra avrà udito in tutte le forme e varianti, issata su tutte le bandiere e utilizzata come oggetto contundente da ogni fazione politica, ebbene, sulla parola SACRIFICI, Elsa Fornero ha sentito stringersi la gola, contrarsi le viscere. E una lacrima netta e solitaria – come quando si è colpiti da un dolore affilato e gelido, un dolore lucido e penetrante – le è scesa sulle altrimenti severe gote.

Apriti cielo. Le lacrime di Elsa, neanche il tempo di toccare il pavimento marmoreo, erano già il tormentone più cinguettato della rete. Che del dolore della ministra ha colto soltanto gli elementi più superficiali, i più facili e comprensibili, rassicuranti. Da una parte il com-patimento, cioè il patire assieme che spesso accomuna il richiedente dei sacrifici al sacrificato, quasi si stesse rinnovando la tragedia di Ifigenia, sacrificata per permettere la traversata dei Greci alla conquista di Troia. Dall’altra la mossa astuta (ma vile e sciacalla) di chi come Libero, non aspettava altro che bollare quella stilla salata come lacrima di coccodrillo. Dimenticando in un clic il fiume di collirio sparso dalle guance (asciuttissime) del “loro” Caimano.

Ma entrambe le interpretazioni, tanto quella pietista quanto la meschina, non tengono conto di un terzo fattore, decisivo a far scattare il pianto della Fornero. Un fattore che nella parola “Sacrificio” include il lavoro – lungo, faticoso, meticoloso, stressante, incredibile, carico d’ansia e di aspettative, tremendo, incompreso e qualche volta ingrato – che ha portato in quel determinato momento, di fronte a quella platea, il ministro Fornero a pronunciare l’impronuciata parola. Elsa Fornero si è commossa non tanto pensando a quanto quel sacrificio avrebbe significato per noi, lavoratori e cittadini d’Italia. Quanto per tutto il carico di tensione e di duro lavoro (sì duro lavoro), che quella parola , in quell’attimo, liberava. Quasi come a dire: voi non potrete mai conoscere come ci si sente a chiedere “sacrifici” a 60 milioni di persone. Voi non lo sapete perché non siete dove sono io, non sedete su questo – scomodo – scranno. E non avete lavorato freneticamente e senza gratificazione alcuna nelle ultime settimane, come ho fatto io.

Arroganza? Allora non avete capito nulla. Elsa Fornero ha pianto la sua serietà, la sua severità, la fatica del lavoro prodotto dal proprio pugno. Ha pianto come si piange vincendo una medaglia: «Ecco», ha detto, «questo è il massimo che so fare e dare al Paese». Anche e soprattutto perché oggi il “massimo dare”, significa il “massimo chiedere e pretendere”.

Grazie ministra, perché ci ricordi che è faticoso e difficile, al limite del pianto, essere coerenti con i propri impegni. E lavorare davvero al servizio dello Stato.

Prepariamoci al meglio, al peggio

 

Comments
One Response to “Le lacrime del dopo-Caimano”
  1. Lameduck ha detto:

    Ho letto il tuo intervento su Femminismo a Sud e sono venuta a leggere questo. Mi trovi assolutamente in sintonia con la tua analisi. Il gesto della Fornero mi è parso umano ed intelligente e forse legato alla consapevolezza della gravità della situazione (cosa che il popolaccio italiano non conosce e vuol far finta di non conoscere).
    La reazione a queste lacrime è stata di una volgarità assoluta. Dal “ridateci le puttane” delle femministe all’atteggiamento di una certa sinistra che, siccome quella è un’esponente della classe dirigente, dev’essere per forza in malafede ed ipocrita. Cosa siamo diventati…
    Un saluto,

    Lameduck
    (barbara)

Lascia un commento